LE ORIGINI
Castelmozzo sorse nel XII secolo per svolgere funzioni di centro fortificato di cerniera tra le valli del Sabato e del Calore, su un’altura tra Prata e Montefusco. Un piccolo villaggio posto su un rilievo collinare scosceso ubicato nel territorio di Santa Paolina. Con questo nome viene denominata la località, posta a metà strada tra il vallone Marotta a Est e la Via Provinciale a Owest: è un progetto per posizione ben difeso, di difficile accesso e circondato da torrenti iemali. ……”Alla fine del XIII secolo era compreso tra i casali della terra demaniale della Montagna di Montefusco, ma successivamente, subì la comune sorte di molti altri borghi e venne infeudato ai della Marra, una nobilissima famiglia che godette dei favori della casa reale angioina. Nel 1343 Nicola della Marra, signore di Serino, ottenne il Regio Assenso per la cessione di Castelmozzo ai fratelli Giovanni, Nicola e Leonardo de Berteraymo di Avellino. Questi appartenevano al ceto notarile della città. Nel 1433, con la scomparsa dell’erede, Angelillo, le terre dei del Turco finirono alla Regia Corte e vennero infeudate per una metà a Filippo Caracciolo e per l’altra a Guarino de Macris, discendente in linea femminile dell’antica famiglia di Montefusco….”
NEL TEMPO…
Il borgo subì vari passaggi di mano tra i diversi rami della famiglia de Macris. …” Nella seconda metà del XVI secolo, per diritti dotali, passò ai De Gennaro, un’antica e nobile famiglia napoletana, ma dopo qualche anno tornò presto in possesso di Giovanni della Marra, il quale lo cedette, nel 1583, al barone di Prata Giovanni Francesco Gargano. Costui, con mentalità moderna ed imprenditoriale, non solo ampliò i suoi possessi, ma cercò di costituire, grazie alla costruzione di un ponte sul Sabato, un asse viario veloce e alternativo alla Strada Regia per le Puglie, con il fine di garantire lo sviluppo commerciale dei suoi feudi. Ciò diede vita alla costruzione di varie strutture, di una taverna per soddisfare le esigenze dei viaggiatori, (oggi Taverna Nuova, fraz. di Prata) e di un ponte che favoriva l’aumento dei traffici verso gli insediamenti protoindustriali di Prata, il borgo registrò una leggera ripresa demografica , dovuta con molta probabilità al miglioramento della viabilità….” Un documento antico, consente di tracciare l’originale estensione del territorio di Castelmozzo: principiando dal Ponte di fabrica del Bottazzo, saglie per il vallone di Marotta, e và sotto il Ponte di Zeza, e saglie per d. vallone sino al vallone dille Padule, dal q.ale va sino ad Acquara, et esce alla strada publ.ca di S.ta Paulina, per la quale strada si va sino dove si dice la ginestra, dal quale cala al Vallone di Goliano, da dove di nuovo cala alla strada publica, e seguita sino al Ponte dilla Fea, dal quale saglie conforme la corrente dill’acqua al Ponte di Bottazzo, primo confine, conchè il suo circuito sono da miglia quattro, confina il suo territorio con Prata, Tufo, S.ta Paulina, e Montefuscolo.
OGGI
Attualmente, dell’antico castello sono visibili poche opere in pietra,…”nella parte alta un’aia di forma rettangolare, a circa dodici metri si osservano vestigia di muri e giri di pietre ad arco, quali archi di porte che immettono in qualche vano; i muri hanno lo spessore di quasi due metri, sono in fabbrica, solidi e ben squadrati. Alla distanza di venti metri dal descritto muro si trovano segni di altro muro; questo non continuo e non sempre in fabbrica. Da quanto detto il Castrum era formato da tre fila di muri, distanti il primo dal secondo, un venti metri, e questo dal terzo un dodici metri; donde ricavo che il Castrum Mutii era tutto il poggio che dalla fontana girava il boschetto di querce, saliva alle case di Castemuzzo di Sopra e scendeva alla chiesa parrocchiale di S. Croce, e seguendo la via a sinistra, ritornava alla fontana…” L’area occupata dal fortilizio è protetta da un bosco di querce e qui il vero protagonista del luogo è il panorama sulle valli verso il Sabato, sulle contrade sparse e sui monti circostanti. Lo spirito degli Irpini resta legato qui nel verde dei boschi e delle coltivazioni di uliveti, noccioleti, orti e vigneti di aglianico, fiano e greco, rigogliosi e curati con la dedizione di un tempo, conservando e tramandando di generazione in generazione cultura e passione.
Curiosità
Il Tesoro di Castremuzzo
La vecchia legenda, tramandata dalla tradizione e accresciuta dalla fertile fantasia dei semplicioni, dice che nei tempi antichi, nei pressi del Castrum-Mutii, fu seppellita una cassa piena di oggetti preziosi, monete d’oro e opere artigianali, resti di una civiltà tramontata; che la cassa è guardata dagli spiriti cattivi dei cattivi briganti e della dannazione; che solo il sangue di innocente creatura sacrificata al dio <<ricchezza>>, il Moloch tiranno dell’animo di tutti gli uomini, di ogni età e nazione potrebbe placare gli spiriti satanici di quelli cui in vita appartennero le ricchezze, messisi a custodirle, le difendono fino all’esasperazione, fino a divenire crudeli giustizieri degli affetti degli uomini, richiedendo il sangue vergine di innocenti creature deboli, belle e care: sollievo della persona stanca, speranza all’abbattuto, gioia della famiglia e dell’umanità. La bramosia dell’oro che abbrutisce l’uomo. La leggenda è ancora viva ed è diffusa anche nei paesi limitrofi ove i paesani si sono trasferiti; in questi paesi la leggenda trova maggior credito che non a Castremuzzo e a Santa Paolina. E sono venuti non pochi forestieri, creduloni e superstiziosi, a cercare il tesoro a Castremuzzo. Anche qualche mago ha fatto dei sopralluoghi nella zona.